Le avventure di Sulfimigi: umanista precario
Introduzione
Benvenuti su questo blog dove racconterò le mie storie ispirate al mondo del precariato.
Cosa mi spinge a scrivere queste pagine e a tenere aggiornati i lettori con nuovi racconti?
Arriva un momento della vita in cui devi fare i conti con il passato: cos'è stata la tua avventura nel mondo sociale dopo essere uscito dall'univesità con una pergamena rimasta attaccata al muro?
Inutile guardarla e pensare che è solo un foglio di carta, anzi è proprio con questo pensiero che tornano a galla le aspirazioni frustrate, i sogni infranti di chi ha passato la sua età più bella chinato sui libri, un amore per la cultura e le cose belle che si direbbe mal ricambiato da un mondo pervaso di meschinità.
La scelta di creare piccoli racconti e di adottare un taglio che va dal sardonico all'ironico, dal grottesco al tragico non è una scelta letteraria ma è parte stessa della verità che questi racconti vogliono ritrarre. Mi spiego meglio: la vita del precario è fatta di tanti piccoli episodi in contesti diversi, è il senso stesso della precarietà. Quella del precario non è una vita romanzata ma un collage di tanti piccoli racconti dettati dalle scadenze contrattuali inevitabilmente di corto periodo. La chiave di lettura, crudamente e malinconicamente ironica, non è solo una scelta d'autore, ma una sorta di implicita essenza della realtà con cui il soggetto si confronta. Questo perchè il precario è, per la società che lo confina come tale, un soggetto disagiato, disprezzato ed emarginato. Quando lavora è un fallito perchè accetta impieghi al di sotto del suo profilo, quando non lavora è uno scansafatiche, un parassita accampato sotto il tetto genitoriale.
Ogni racconto è una storia a sè, raccontata con stili diversi che vanno dall'onirico al realistico, dal comico al tragico: questo perchè la vita del precario ha il vantaggio di offrire una quantità indefinibile di suggestioni e prospettive. Anche i ruoli non conoscono un protagonista fisso e predefinito: a volte Sulfimigi è protagonista in prima persona, altre volte è un distaccato spettatore che stende impietosi resoconti di ciò cui ha assistito.
Per chi l'etichetta del precario l'ha indossata sarà difficile non immedesimarsi. Chi ha avuto la fortuna di non esserlo avrà sicuramente un amico o un parente sul quale proiettare il contenuto di queste storie. Lo scopo di questi racconti è anche quello di comunicare un disagio che non è solo individuale, o uno status accidentale nel quale si entra e da cui prima o poi si esce. No, il precariato è il male connaturato di una società che non guarda in faccia le persone ma considera gli individui come ingranaggi di un meccanismo che in qualche modo deve produrre e funzionare. E' l'attuazione del principio hobbesiano dell' uomo che è lupo tra lupi, mentre il Leviatano è il lavoro inteso come forma di assoggettamento ad un soggetto collettivo.
Il precariato non esisterebbe se la società non fosse costruita sugli egoismi, ma questa è un'altra storia e non la possiamo raccontare perchè appartiene alle utopie.
Una nave che parte alla deriva
La notte prima della discussione degli esami i pensieri si affollano nella mente di Sulfimigi. Non sono proiettati sull'argomento contenuto in quel volume. Ormai ha trascorso mesi interi chinato sullo schermo di un computer ad inanellare teorie e spiegazioni sul tema che lo divorava da anni: il darwinismo sociale. Era rimasto talmente incantato da quella visione del mondo da farne una sua personale chiave di lettura di tutto quello che gli succedeva intorno.
Stava per arrivare quel momento in cui dalle polverose aule universitarie si sarebbe nella vita reale. Con i suoi studi era convinto di aver fatto luce sui fatti più brutali ed inquietanti del secolo appena concluso. Insomma era convinto di avere già in tasca tutto quello che serviva perchè televisioni, giornali e libri si riempissero con i suoi illuminanti contenuti.
L'aria di primavera era oltremodo stimolante quella sera e addormentarsi era una chimica difficile da attuare per un organismo sovraeccitato ma alla fine le porte del mondo dell'onirico si aprirono ugualmente.
Si trovava su una barca, piccola, di legno, ancorata con una modesta scorda sdrucciolata. Proprio lui che non amava gli ambienti acquatici e che a malapena aveva imparato a stare a galla. Il mare era calmo, azzuro, infinitamente esteso. Sul lato opposto erano schierati dodici uomini incappucciati con un saio blu elettrico e degli inquietanti anelli alle dita. Quello più centrale di loro si avvicinò con le mani congiunte e un'andatura solenne. Il volto seminascosto dal cappuccio si rivelò essere senza dubbio quello del suo relatore di tesi. Gli altri undici avevano volti anonimi forse già visti, forse no.
"Buongiorno Sulfimigi! Si sta apprestando a diventare Dottore! Che effetto le fanno le onde del mare su quella barchetta? La solitudine davanti all'immensità del mare non la spaventa ?"
Parlava con quella composta saggezza un po' inveterata di chi sa già cosa si trova in fondo alla linea dell'orizzonte. I capelli canuti, lo sguardo disincantanto ed un sorriso dalla sfumatura beffarda componevano quel ritratto incorniciato dalle vestigia simil massoniche.
Sulfimigi deglutì con quell'imbarazzo di chi si trova davanti ad una entità superiore per conoscenza. Tirò fuori dalle corde vocali qualche frase circostanziata, giusto per non lasciare spazi vuoti tra sè ed il suo interlocutore.
"Ma lei di preciso cosa intende fare dopo che avremo amabilmente discusso la sua tesi ? E' convinto che quel pezzo di cellulosa tutto bello colorato le darà accesso a tutti i porti a cui si affaccerà ?"
A questo interrogativo più circostanziato Sulfimigi rimase interdetto, il senso di smarrimento si faceva più concreto man mano che l'incappucciato lo incalzava.
"Lo sa quanti ne ho visti passare di qua come lei ? A quanti di loro ho tagliato questa corda che li teneva ancorati al baluardo universitario e si sono perduti tra onde alte e mare piatto ?"
"Grazie clarissimo relatore, apprezzo i suoi incoraggiamenti ma credo che in qualche modo di bonaccia o di bolina me la saprò cavare"
L'incappucciato sorrise apprezzando l'ironia, ma restava su di lui quell'espressione da entità superiore ormai divenuta altezzosa.
"Ma lei Sulfimigi non era quello che amava la montagna ? Come mai si sta adattando ad un linguaggio marinaresco ? Ha forse capito che la via che sta per imboccare non è quella delle sue passioni ?"
Una domanda troppo complessa per un sogno, ma ci sarebbe stato tempo per ponderare la risposta.
Dopo un attimo di inespressivo silenzio Sulfimigi guardò il suo interlocutore come si guarda uno specchio e gli disse:
"Ho dedicato gli anni migliori della mia vita ispirandomi a quelli come lei: persono che vivono del loro sapere, e che lo diffondono all'umanità. Ora che mi trovo qui, davanti a quello che ritenevo un traguardo, mi sento dire che è stata tutta una pia illusione? Perché non posso diventare come voi? Perché tra me e voi si staglierà un abisso? Io verso una navigazione malsicura e voi qui al riparo tra le grotte delle montagne? "
"Caro Sulfimigi, le ripeto: ne sono già passati tanti come lei. Vi nutrite di ideali, aprite le vostre menti sul sapere dell'uomo e non vi accorgete di aver costruito castelli per aria. Diventare come noi ? Ma che cosa le viene in mente? Noi non siamo qui per meriti culturali, noi siamo membri di una casta, siamo stati eletti per la conservazione del sapere, siamo dei custodi scelti da chi ci ha preceduto."
Un misto di imbarazzo e smarrimento forgiarono la nuova espressione dell'imberbe laureando.
"Ma scusi...proprio lei parla così? Ma lei e quelli della sua generazione non avevate messo a ferro e fuoco le città perché tutto cambiasse, perché nessuno rimanesse indietro ? Avete fatto un '68 e un '78 solo per dire che ora siete i conservatori del sistema?"
"Mio caro Sulfimigi, che colore avevamo quando contestavamo? Il rosso! Lei lo sa bene, ha studiato le rivoluzioni del '900. Guardi invece ora come mi dona bene questo blu! E' il colore della reazione! Non solo: il rosso che portavamo in piazza e nelle facoltà era fatto di materiale povero, questo invece è un tessuto di pregio, fatto a mano."
"Anche quell'anello immagino sia uno status symbol..."
"Certo Sulfimigi, serve a distinguerci da chi è senza appartenenza... come lei!"
"Quindi tutti quei bei discorsi sull'uguaglianza, sulle opportunità, sui diritti, sull'eliminazione dei privilegi...?"
"Suvvia, inizi ad essere realista! Anche noi come tutti siamo stati giovani ed ingenui. Credevamo in questi ideali sì... ma secondo lei stiamo meglio qua o a fare la fame con degli ideali ?"
Sulfimigi lo scrutava con l'aria di chi si sente tradito. Tuttavia coglieva nel tono del suo interlocutore un malcelato intento consolatorio.
"Non si disperi Sulfimigi! Ognuno ha il suo destino, il suo è affrontare il mare aperto, un po' come Ulisse, no?"
"Odio il mare, perchè sono qui? Non l'ho scelto io!!!"
"Non siamo noi a scegliere, è il destino! A noi eletti è andata bene: abbiamo il nostro approdo sicuro, ripetiamo le stesse banalità ad ogni corso, ogni nostra lezione è uguale all'altra, noi non siamo una rivoluzione ma una rotazione!"
"Beati voi..."
"No, non ci deve invidiare Sulfimigi: lei è poco tagliato per una vita monotona come la nostra, si annoierebbe a stare qui. Lei è fatto per confrontarsi con il grande mostro dei mari: il Leviatano, quello di Hobbes che le piace tanto."
"Guardi che questi discorsi sono pericolosi: se Hitler avesse avuto la possibilità di diventare architetto..."
"Ah ah ah è vero, ma non è colpa nostra. Chi decide è..."
"Il destino"
"Ora che ha pressapoco fissato le coordinate del suo viaggio mi accingo a fare quello che devo fare"
Impugnò un coltello seghettato e recise la corda che fissava la barca al molo.
"E mi raccomando Sulfimigi: sia sempre fedele, onesto e rispettoso!"
"Ma verso chi ???"
"In generale...pensando al destino"
Una levata di dodici mani si alzo verso il cielo salutando il naufrago: dodici anelli che luccicavano mentre il suono delle onde che si infrangono sul bagnansciuga si allontanava.
Era stato solo un brutto sogno, l'appuntamento con l'aula dove sarebbe stato cerimoniato il suo ingresso nella comunità degli intellettuali era arrivato. La tesi di laurea era stato il momento più bello in tutti quegli anni passati tra le mura universitarie. Nel redigere la tesi si era finalmente sentito compiuto: non i soliti esami imposti e nei quali si ripetevano in fondo in fondo sempre le stesse cose ma finalmente un prodotto d'autore!
Per farsi un'idea di che cosa quella stanza potesse riservagli aveva assistito a tesi di suoi amici e la scena era stata raccapricciante: una dozzina di docenti radunati a ferro di cavallo che scrutano l'esaminando per cinque folgoranti secondi. Ma è solo una formalità: non vedono l'ora che tutto finisca, qualcuno non ne può più e si accende un sigaro davanti alla finestra, altri leggono il giornale, i più interessati sono quelli che non trovano argomento per fare filotto col collega e si fingono interessati alla tesi.
Ma Sulfimigi era arrivato lì dentro con un carico da novanta: il legame tra razzismo e teorie darwiniane nella Germania nazista. Provate a distrarvi anche solo per un attimo! Quel ferro di cavallo che solitamente proiettava uno sguardo indifferente verso ogni candidato si trasformo in una specie di parabolo dove il fuoco era lui. Tutti avevano ascoltato con istantaneo interesse le argomentazioni dell'unico laureando che invece di presentarsi con giacca e cravatta era arrivato con un maglione, pantaloni quasi di tela e scarpe da ginnastica. Era chiaro che si trattava di un outsider interessante ma troppo scomodo, un genio e sregolatezza che mal si intonava con quelle ottuse mura istituzionali.
Il relatore arrivò con un sorriso che era identico a quello beffardo e un po' sardonico del sogno. Si strinsero la mano che era sì umanamente calda tranne che in un punto dove si percepia un freddo metallico: era l'anello!
La chiamata di leva
Per i nati negli anni '70 l'obbligo di leva era uno di quei doveri da ritardare il più possibile: l'ipotesi di una sua abolizione sembrava, dopo tante illusorie promesse, diventare concretezza.
L'Università allungava i tempi della chiamata dando un temporaneo sollievo dall'obbligo della mimetica. Ma poi il tutto si trasformava in un disagio notevole dato dal fatto di figurare come un fuori età tra sbarbatelli. Vivere questa condizione da disadattati era un supplizio che spesso prendeva la forma di trecentosessantacinque croci disegnate su un muro: una per ogni interminabile giorno.
La prima forma di disagio di un neolaureato in molti casi era questa. Un certificato di "Dottore" appeso alla parete della camera e all'orizzonte un mondo da conquistare: nella realtà un pulitore di latrine con un caporale zoticone, semianalfabeta e con l'acne da diciottenne che detta il ritmo a cui devi marciare.
Sulfimigi tentò la sua ultima carta: aveva ottenuto una borsa di studio post laurea all'estero, poca roba s'intende, un riconoscimento del suo relatore per la buona tesi. Dette fondo a tutte le sue capacità letterarie per mandare una lettera al Ministero della Difesa nella quale supplicava di lasciargli liberi i suoi anni migliori per continuare la vita sui libri.
Imbucò la lettere e aspettò, fino a quando un giorno si assopì e l'angoscia invase i suoi sogni.
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"SVEGLIA SVEGLIA" Le urla belluine giungono dal lato opposto di quella porta in compensato leggero che sembrava crepare sotto i colpi delle nocche del tenente. Giusto il tempo di lanciare un'occhiata alla sveglia che impietosamente non riesce a riportare sul quadrante cifra maggiore delle cinque antelucane. La chiamata per servire la patria in divisa si è materializzata in questo modo improvviso. Un armadietto, o meglio un parallelepipedo di allumino, è tutto quello che addobba quella fredda e umida stanza. Il suo istinto di sopravvivenza non può che pilotarlo lì ed indossare il contenuto: ovvero una sconcia uniforme e degli stivaletti. Il fatto che nessuno di questi sia nemmeno lontanamente delle sua taglia e che lo faccia apparire come un sigaro in cartuccia è un fatto del tutto irrilevante per lui e soprattutto per chi lo sta aspettando là fuori. Ma appunto...chi lo sta aspettando? Neanche il tempo di buttar giù la più frugale colazione della sua vita ed un impulso lo spinge a correre fuori, verso una destinazione non ancora del tutto chiara. In effetti qualcosa sembra squarciare il profondo e silenzioso buio che circonda questo momento della giornata. Sono due cerchi rotondi e luminosi che avanzano accompagnati dallo sferragliare di un vecchio motore diesel. Non c'è dubbio: è venuta per lui visto che non potrebbe essere per nessun altro e a sottolineare il concetto avanza ondeggiando e sciabolando i lampeggianti come in un codice morse. Il roboante veicolo rallenta l'impeto della corsa, lasciando intendere che lo farà abbordare. Sulfimigi si appresta a salire senza fiatare e senza perdere un frammento di secondo, ma non sa che il guidatore è stato addestrato per accellerare proprio quando il suo corpo è ancora sbilanciato. Ed ecco che senza capire come e perché si ritrova ad inseguire a piedi quel diabolico autocarro. Ogni suo tentativo di afferrare un appiglio viene vanificato da puntuali colpi di accelleratore. Qualcuno da dentro allunga la mano ma poi beffardamente la ritira. Dopo tre tentativi andati a vuoto riesce finalmente ad afferrare lo sportello e a salire mentre la belva meccanica riprende la sua rabbiosa cavalcata nelle tenebre.
Davanti a lui una specie di corridoio, ai lati due file di militari seduti e inespressivi come statue. Capisce che il suo posto è quello in fondo ma non sa che per arrivarci dovrà affrontare una selva di calci di fucile che puntano tutti sulle sue caviglie. Caracollando arriva al suo posto e attende la fine del viaggio che si conclude all'alba, nel cortile di una gelida caserma.
Lui ed un numero di altre reclute vengono fatti allineare in un cortile. Vengono interrogati uno ad uno con domande su provenienza, età e soprattutto competenze. "Beh io, ho fatto studi umanistici" risponde Sulfimigi in merito a quest'ultima. In quell'istante tutto il via vai di voci, movimenti e armeggi che animavano la caserma si fermò. Gli esaminatori, erano tre, lo guardarono con occhi stupiti, come se avessero davanti non un semplice essere umano ma uno spirito superiore.
I tre si guardarono negli occhi e alla fine parlò il più anziano, quello più titolato a parlare in caso di incontri straordinari come questo.
"Bene Sulfimigi, prima di te sono venuti elettricisti, idraulici e un esperto di informatica. Tutte competenze utili s'intende, ma mancava finora quella figura che potesse in qualche modo incarnare l'essenza stessa del servizio che siete stati chiamati a svolgere dalla nostra amata patria. Ognuno di voi individualmente è nulla, qui siente un'entità collettiva, un macroantropo, la somma di tanti individui che si fondono come in una nuova unità."
Sulfimigi non si capacitava del fatto che improvvisamente si fosse materializzata davanti a lui la figura di un uomo così illuminato, le cui parole sembravano uscite da un saggio di Schopenhauer o Gustave Le Bon. Aveva finalmente trovato qualcuno che parlava la sua stessa lingua, proprio lì dove meno se lo sarebbe aspettato.
"Lei capisce Sulfimigi che qui è nel posto giusto, e che abbiamo proprio bisogno di qualcuno come lei...
Lei è uno che pensa, qui invece gli altri vengono pensati...mi capisce vero?"
Sulfimigi annuiva tra mille vibrazioni che lo avevano improvvisamente pervaso.
"Ecco...lei conosce Diogene vero? Quel filosofo che girava con la lanterna alla ricerca dell' "uomo vero"... Ecco vede quel secchio ? Faccia finta che sia una lanterna! Vede quella porta ? Non si formalizzi se c'è scritto latrina...perché quello in realtà è un luogo dove lei può indagare la natura umana nelle sue profondità più remote!!! Vada, e cominci da destra verso sinistra perchè qui si è sempre fatto così!"
Fu così che Sulfimigi ogni giorno portava a termine la sua missione filosofica tra il rispetto dei suoi commilitoni che non mancavano di lasciargli interessanti oggetti su cui meditare.
Tutto questo ogni mattina quando suonava l'alzabandiera. Ci fu un giorno in cui la tromba suonò più forte e si sveglio da questo incubo. In realtà non erano note musicali ma il monotono doppio ring del campanello con cui è solito annunciarsi il portalettere quando richiede la firma. Mentre compilava il modulo l'occhio gli cadde sul mittente: veniva da Roma. Con i sudori freddi del sogno che si univano a quelli della realtà aprì la busta e lesse il contenuto:
"Signor Sulfimigi, con riferimento alla sua richiesta etc. etc. siamo ad informarla che in ragione del rimodernamento delle forze armate e loro efficientamento con personale dedicato...insomma in poche parole i bagni li pulirà una cooperativa di pulizie e lei può continuare i suoi studi liberamente!
Cordiali saluti"
Erano proprio le parole che aveva sognato di sentirsi dire !
AAA Animatori cercansi
Se c'è una stagione peggiore per iniziare un'odissea lavorativa non può che essere l'estate. Non solo perché coincide con il periodo di esposizione solare della classe dirigente ma perché i lavori ci sarebbero ma si distinguono in male: retribuzione, condizioni lavorative e qualificazione professionale tra le più ignobili che la civiltà possa ammettere.
Bastava scorrere qualsiasi portale di cerca-lavoro per capire che in quel momento l'offerta era fagocitata da un unico standard: quello di chi in qualche modo intendeva sbarcare il lunario tra cocktail e ombrelloni. Curiosamente questi annunci erano infarciti da ricercatezza retorica anche se non era difficile immaginare che celassero un impiego molto rudimentale. Probabilmente fu proprio questo ad adescare Sulfimigi che vistosi specchiare in quel profilo di giovane intraprendente con ottime capacità comunicative e relazionali, buona conoscenza delle lingue straniere e suggestive abilità varie ed eventuali che per quanto vaghe davano un tono, decise insomma di rispondere con l'invio di un curriculum ad una agenzia di animazione turistica. Già mettere piede nel mondo del turismo non sembrava una cattiva idea per un domani; avrebbe poi potuto affinare l'uso delle lingue straniere, farsi un'esperienza di lavoro all'estero, l'ambiente sembrava allegro, dinamico e giocoso: insomma un universo incantato a cui sembrava ora strano non aver risposto prima!
Allora perché non inviare un curriculum anche ad una di quelle agenzie lì ? In fondo non era altro che uno del lungo nastro quotidiano di CV inviati ai più disparati indirizzi dove però sperava maggiormente di essere chiamato: una redazione di tv o giornale, una casa editrice, un'agenzia di comunicazione, anche uno sgangherato impiego di correttore bozze. La marea dei "le faremo sapere" era lo stato costante del suo mare. Dopo tanti setacci a vuoto ecco che anche un sasso colorato sembra oro: sembrava di avere in mano qualcosa di concreto anche se provienente dall'ultima mail nella classifica delle priorità. Un po' come quando il frigorifero è vuoto e lo stomaco si fa andare bene gli avanzi del giorno prima.
Aveva detto sì ad un meeting di due giorni dove alla fine se avesse dimostrato di avere le carte in regola sarebbe entrato nel mondo dell'animazione. Si trovò seduto in mezzo ad un gruppo di circa venti persone, tutti giovanissimi, tutti attratti da quell'annuncio che proiettava lo sguardo verso un mondo fantastico fatto di musica, giochi e altri ingredienti che non sempre si possono dire ma che per taluni, Sulfimigi incluso, costituivano uno dei richiami più forti.
Prima di varcare la soglia di quel mondo si chiese se fosse lui troppo vecchio o troppo colto per quel mestiere, ma ebbe subito modo di tranquillizzarsi man mano che approfondiva la conoscenza degli altri candidati. Erano tempi duri per tutti e tanti come lui erano lì perchè non avevano altre carte da giocare. Per un attimo aveva ripensato a quel sogno dove la sua barca si staccava dal porto ed andava verso rotte sconfinate ed ignote, o forse semplicemente a qualche deriva. Ed eccola la materializzazione di un porto della deriva: si faceva sempre più evidente man mano che ascoltava le presentazioni degli altri candidati.
"Io sono laureato al Dams, recito in un teatro amatoriale ma non mi basta per campare e allora sono venuto qui." Così si presentò un poco più che ventenne dai capelli ossigenati ed un residuo di fondotinta che gli sgranavano gli occhi in modo inquietante.
"Mi sono appena laureata in mediazione culturale e sto cercando di fare esperienza all'estero" Si esprimeva con una dizione perfetta, e lo avrebbe potuto fare in altre tre lingue, unico difetto quello di trovarsi sulla soglia dei trent'anni.
Molti altri era puri e semplici scappati di casa che volevano continuare ad essere tali ma con un contratto di lavoro in mano. Un ragazzo partito dalla profonda Puglia si era fatto tutto lo stivale in treno, solo per ripagarsi il costo del biglietto con lo stipendio di animatore avrebbe dovuto lavorare gratis due mesi. Ma era talmente pigro e goffo che apparve subito come il più improbabile a rivestire quel ruolo.
Il giro delle presentazioni si rivelò un rituale così ripetitivo ed obnubilante che quando venne il suo turno Sulfimigi si trovò in uno stato di torpore mistico dovuto all'assimilazione di tutte quelle esperienze di vita che aveva ascoltato. Iniziò a raccontare di sue inverosimile capacità di ballo e prestanza sportiva in tutte le discipline di acqua e di terra. Quanto alla sua predisposizione per il contatto con il pubblico era convinto di poter confidare sul fatto di essere un ragazzo "positivo e solare" solo perchè questa espressione era ormai ripetuta anche dai muri di quella sala.
Tra un provino di recitazione indegno anche per una recita scolastica ed un mini prontuario su come vincere la timidezza, seguì a conclusione di questa due giorni un colloquio approssimativo sulla conoscenza delle lingue. Arriva il responso: "sei dei nostri!!!". Seguì una calda stretta di mano del responsabile della selezione del personale, un ragazzo poco sopra la trentina super lampadato e palestrato. Venne anche il presidente dell'agenzia, un noto personaggio del settore alberghiero che si presentò in giacca e cravatta ed un orrendo parrucchino. Non mancò di dare enfasi alla missione che questi ragazzi sarebbero andati a compiere, magari rappresentando il nostro paese in terra straniera come militari in una missione di peace keeping. Tutto questo dopo aver raccontato che quello che stavamo per compiere era il primo passo verso la conquista del mondo, e che "tanti hanno cominciato come voi e sono diventati qualcuno", e che anche a lui nessuno aveva regalato niente e si era fatto da solo partendo da una condizione di spaventosa indigenza.
In un messaggio scritto ad un ex compagno di università mentre tornava in treno:
"Ti ricordi quel mio talento di riprodurre gli sketch comici di "Mai dire Gol"? Ecco l'ho tirato fuori e si sono piegati dal ridere sulle sedie. Ti ricordi che tutti quelli che passavano nei corridoi della facoltà mi chiedevano: "ma perchè non vai a Zelig?". Ecco magari con questa esperienza faccio un po' di rodaggio e poi...provo un provino."
Nel giro di qualche settimana il suo aereo per la Grecia era pronto a decollare: destinazione Isola di Kos, quella dove gli déi avevano fatto nascere Ippocrate.
Doveva partire da Roma assieme a quello che sarebbe stato il suo capo animatore. Il giorno prima aveva preso contatto telefonico proprio con costui e...in tutti sincerità, dalla voce non gli era parso quella figura che le immagini patinate del sito dell'agenzia lasciavano immaginare. Era al telefono con un tipo ancora sbronzo dalla sera prima, o forse da un cumulo di sere prima, per sua stessa ammissione, una voce raucamente appesantita dal fumo ed usava un tono di voce ed una loquela che ben poco si confacevano alle formalità professionali. Quando lo incontrò in aeroporto le sue perplessità si compattarono anche in forma visiva. Era l'incarnazione dello scappato di casa, in tutto l'aeroporto era difficile trovare uno che lo potesse rappresentare meglio di lui. Capelli al vento, tatuaggi stile naif, catenine da quattro soldi forse fatte in casa con una pinza. Come abbigliamento era a metà tra uno stilista fallito e un santone indiano. Ma tutto questo poteva anche passare in secondo piano se non fosse stato per quel sorriso e quello sguardo piuttosto inquietanti. Sembravano più smorfie che espressioni di quella "solarità" di cui si narrava gli animatori disponessero in quantità inesauribili.
Non che si aspettasse di trovare un gentlemen in giacche e cravatta ma neanche un disadattato i cui unici argomenti di intrattenimento erano stati "figa e canne" per riempire l'attesa dell'imbarco.
Con questo tizio di nome Marcello avrebbe dovuto passare qualcosa come sei mesi su un'isola ellenica a fare sport e spettacoli per intratteneri i vacanzieri. Chissà quale espressione di imbarazzo si doveva essere dipinta sul volto di Sulfimigi al solo pensiero che già in questi primi minuti non lo sopportava più. E ogni minuto era peggio perchè questo tizio, forse nella genuina convinzioni di rompere il ghiaccio, continuava a far battute e commenti a cui rideva da solo, senza essere minimamente corrisposto o corrisposto con sforzo evidente.
Arrivarono in questo Hotel quattro stelle di Kos: in realtà un'area ben disposta su piccole case tipo monolocali con mini giardino e diverse strutture sportive quali piscina e campo da pallavolo che si affacciavano direttamente sulle acque dell'Egeo.
L'incontro con il titolare fu subito rivelatore di un sotteso malessere che nasceva dalla cattiva fama che la categoria degli animatori sembrava tramandarsi ad ondate annuali. Era come se si parlasse di pirati venuti dal mare per saccheggiare le coste, approfittare di tutte le risorse del luogo e dopo qualche mese sparire verso nuovi approdi. Andavano e venivano sapendo di poter contare sul fatto che a fine stagione le loro colpe sarebbero state azzerate e di loro non si sarebbe saputo più nulla.
Gli altri operatori della struttura li guradavano come estranei: dal giardiniere al Maitre del ristorante tutti vedevano in loro dei forestieri. Non li consideravano colleghi perché quello che facevano non aveva nemmeno la parvenza di un lavoro vero e proprio. C'era poi l'inevitabile contesa sulla "fauna" che tra animatori italiani e baristi greci assumeva anche vaghi contorni patriottici.
Dopo neanche tre giorni Sulfimigi iniziò a notare quanto fosse stressante dover stare ogni minuto da mane a sera sempre con il fiato di quel Marcello sul collo.
In una mail ad un amico scrisse:
"Che palle! Mi sveglio al mattino e c'è lui che si stropiccia gli occhi, esco dal bagno e c'è lui davanti alla porta con lo spazzolino, a pranzo e cena l'ospite fisso del mio tavolo è lui che rompe pure i coglioni su come tengo la forchetta! Sì perché c'è anche da dire che è un totale fancazzista ma sulle cose più inutili si dedica con tutte le energie... poi alla sera un po' di svago esci per cambiare aria ...e con chi se conosci solo questo qua ? Non stacchi mai caz.. "
Difficilmente lo scappato di casa riusciva a rendersi sopportabile se non quando magari raccontava qualche episodio della sua lunga carriera di animatore, se poi fossero storie e vere o inventate per darsi un tono poco importava, se non altro il cervello poteva pensare ad altro. In ogni caso sempre più interessante della sua inesauribile nostalgia per la Sicilia.
Pian piano cominciavano ad approdare anche i turisti, e Sulfimigi non aveva idea di come approcciarli nè gli sembrava di vedere in quel capo animatore un vero e proprio esempio da seguire: untuoso, pedante, scroccone; strappava sorrisi più per compassione che per vera empatia. Insomma sembrava impossibile che tanta gente per bene si sarebbe divertita con una baracca del genere.
Eppure nel giro di una settimana o due quella sgangherata attività iniziò a funzionare!
L'avvio era stato orribile: c'erano poche persone e nessuna di queste aveva voglia di muovere un dito, e risultava decisamente imbarazzante aggirarsi tra lettini di turisti oziosi a cui propinare improbabili sedute di ginnastica dolce e giochetti scemi per vincere un aperitivo. Per di più questo fatto si traduceva, agli occhi del suo superiore, in un insuccesso dovuto alla poca voglia di lavorare. E parlava proprio lui che in quei giorni tutto faceva tranne che farsi vedere con qualcosa da fare.
Sulfimigi era sul punto di tagliare la corda quando come per una sorta di teatrale giro di vite iniziarono ad arrivare persone di età più giovane. Sì certo la maggior propensione al movimento fisico era già una spiegazione ma Sulfimigi voleva spingersi oltre e capire le vere ragioni che spingono uomini e donne da tutta Europa a fare migliaia di chilometri su un'isola del Mediterrano per poi passare le giornate tra piscina e campi da beach volley.
Una mattina il capo animatore gli aveva detto: "fatti un giro intorno alla piscina e quando torni mi racconti cosa hai visto".
Sulfimigi eseguì quel compito dando questa risposta: "gente che legge, altri che pisolano, altri non vedono l'ora che la vacanza finisca"
"Ecco..." rispose Marcello "questa è la nostra materia prima: LA NOIA !". Lo aveva detto con voce forte e rauca e con quel tono enfatico che solo i siciliani hanno.
Almeno su questo Sulfimigi dovette ammettere che la risposta gli era stata suggerita prima di averla trovata.
In quell' hotel stava assistendo ad un fenomeno inquietante appartenente all'era post industriale. Forse non è ancora stata trovata una locuzione appropriata per definire questo comportamento sociale, ma semplicemente succede che la gente quando non è inquadrata nel sistema lavorativo non sa dove sbattere la testa. Allora ecco che quel programma bisettimanale di animazione che tanto gli era parso buffo era invece un segnale di salvezza per chi, come quegli ospiti, si trovavano a vagare senza meta.
Rimase molto colpito anche da quella che si potrebbe descrivere come una metamoforsi che aveva interessato il suo capo-animatore. Il Marcello che aveva conosciuto all'aeroporto era letteralmente uno sbandato, sembrava scappato da qualche centro di recupero per persone in difficoltà. Ma una volta entrato in quel ruolo professionale era mutato in qualcosa di completamente diverso. Nella vita di tutti i giorni non aveva uno scopo, un pensiero, un ideale che lo facesse stare bene, insomma un disadattato. Eppure appena indossava quella maglietta con sopra scritto "Animation" sembrava aver trovato tutto quello che nella vita gli era mancato. Non si sarebbe mai detto che un simile soggetto avesse cura maniacale nel seguire regole, protocolli, etichette, puntualità, ordine e disciplina. Sia chiaro: più per gli altri che per lui, ma il fatto stesso che dimostrasse tanta indefessa volontà di riuscire nella missione lavorativa era giù motivo di stupore.
Marcello sembrava felice, orgoglioso, fiero del suo lavoro, e sottolineava la parola "lavoro" come per dire: "anche io ne ho uno". Ma fin dove tutta questa commedia poteva reggere ? Non molto lontano: lo scisma tra apparenza e realtà non è che fosse così difficile da individuare. Spesso erano gli avventori stessi dell'Hotel a notarlo, o almeno quelli più perspicaci. Tutti quelli che erano rimasti coinvolti nelle attività di animazione avevano partecipato con allegria, si erano divertiti ed avevano apprezzato una certa professionalità. Appena le confidenze si stringevano ecco che emergevano anche i lati oscuri. Quella che si era creata il povero Marcello era una sorta di maschera. Anni di esperienza gli avevano insegnato i modi, gli stratagemmi e anche le furberie per apparire come un valido interlocutore. Ma se è vero che era bravissimo a darla ad intendere con le esteriorità era altrettanto vero che il baratro della sua interiorità non sfuggiva a chi aveva occhi introspettivamente lunghi.
Che avesse sempre in vista un determinato secondo fine con quella che veniva definita "fuana" è cosa ovvia e scontata, ma si trattava di un passatempo come un altro. La vera ipocrisia non era questa di fare sorrisi e moine per riempire il letto. Anche perchè in fondo in fondo cosa aspettarsi da gente che viene lì apposta per farsi un'avventura con l'animatore di turno?
Quello che non stava in piedi era altro, ma ora Sulfimigi era stanco di pensare, era anche stanco di serate stupide passate a bere birra con gente di nessun valore e allora complice qualche bicchiere di Ouzo decise di entratre in una caverna. E chi poteva trovarvi se non il "genius loci" dell'isola di Kos.
"Sei venuto per capire come mai un filosofo come te si trova qui a fare giochi ed intrattenimenti anzichè scoprire i segreti della vita ?"
Ippocrate lo accolse con questo dubbio che Sulfimigi non si stava certo ponendo per la prima volta. Oltretutto non era nemmeno sorpreso di averlo trovato lì, d'altra parte lo aveva invocato lui.
"Ippocrate, sei stato fortunato a vivere in un'epoca in cui i filosofi erano riconosciuti per il loro valore! Oggi ci abbeveriamo alla vostra fonte nelle facoltà, e quando usciamo abbiamo solo sete e nessuno che ci offra da bere".
"Tu la pensi così perchè della realtà che abbiamo vissuto noi non sai assolutamente nulla! Non è colpa tua beninteso. Cosa credi di avere fatto in quelle aule polverose, chino su testi a riflettere su cose note e stranote? E guarda bene che ho usato il verbo riflettere perché è proprio come la luce che ti illumina: hai un riflesso ma non sei in grado di generarla."
"E' vero Ippocrate, ho avuto tanto tempo per riflettere e conoscere, ma pensavo che questo mi avrebbe distinto dagli altri per una mente illuminata dalla conoscenza!"
"E' qui che sbagli! Sei partito dall'alto, dalla conoscenza precostituita e non hai vissuto quella dal basso che è la base da cui partire. Quanti docenti hai conosciuto capici di produrre parolai infiniti ma poi non sapevano come appoggiare un piede per terra?"
"Adesso che ci penso...tutti!"
"Bravo! E invece tu li hai idolatrati come maestri del sapere solo per il loro parlare edotto. Ti saresti accontentato di diventare uno specchio di conoscenza come loro ? Se il fato non te lo ha concesso allora non essergli ingrato perché gli dei potrebbero averti dato un'occasione che nemmeno immagini!"
"Quale?"
"La risposta alla sete è l'acqua. Ti sembrerà una banalità... e sai perché? Perché la tua attenzione è focalizzata sull'acqua e non sul senso della risposta"
L'effetto del'Ouzo svanì proprio in quel momento, ma questa riflessione sarebbe tornata a far rumore nella mente di Sulfimigi negli anni a venire.
Una sera Sulfimigi e Marcello si trovarono su uno scoglio per parlarsi. Il capo animatore aveva avuto una delle sue tante crisi di stima: era convinto di non essere rispettato dal suo subalterno. Tutta la sua argomentazione verteva su unico lemma che ripeteva in maniera quasi compulsiva: "rispetto".
"Tu non mi rispetti perché non ho una laurea? Non ho una cultura...o perché sono meridionale?"
Sulfimigi cercò di tranquillizzarlo smontando alla base i suoi dubbi:"Potresti avere tre lauree ed essere di Vipiteno...avrei di te la stessa considerazione".
Capendo di non aver fatto breccia provò l'arma del pietismo che sui giovani facilmente colpisce nel segno.
"Ma lo sai che io in Sicilia non ho mai avuto nulla, questo lavoro invece mi ha dato tutto: mi ha fatto girare il mondo, conoscere le persone, e soprattutto mi ha tenuto impegnato. Tu sei fortunato, hai studiato, ma lo sai cosa vuol dire non avere altro che la strada? Io qui quando ho un giorno libero non vedo l'ora di tornare in Hotel perchè mi torna alla memoria quel periodo di merda che ho vissuto nella mia terra.
Ti garantisco che in quelle condizioni non è difficile cedere alla tentazione di prendere una brutta strada, e qualche volta l'ho presa."
Sicuramente era sincero, non l'aveva mai visto così serio, riflessivo, e soprattutto autentico (per quanto imbarazzante nella sua autenticità). Parlava con un tono che era completamente diverso da quello che usava sul lavoro. Non aveva neanche in mano la solita sigaretta con la quale era solito trastullarsi nei momenti vuoti. Era come se quello sfogo lo stesse avvolgendo in pieno e stesse tirando fuori ciò che lui effettivamente era: uno che scappa dalla realtà.
E riprese: "Credo di meritare questo rispetto, o no? Quello di una persona che nonostante tutto, nonostante gli sbagli ha cercato di vivere onestamente?"
Sulfimigi annuì, in effetti c'era del vero ma c'era anche quella insidiosa ed un po' viscida volontà di catturare l'attenzione degli altri con l'esca della compassione. La buona volontà in effetti c'era ma uno può essere parimenti un fallito.
Probabilmente questo Marcello era abituato a trattare con ragazzini altrettanto scappati di casa come lui e sapeva su quali tasti battere per convincerli a stare dalla sua parte. Con un ragazzo già maturo e perspicace questi stratagemmi di basso cabotaggio funzionavano fino ad una certa ora. E quell'ora propabilmente era già passata.
Sulfimigi ripensò al dialogo con Ippocrate e al fatto di conoscere anche le forme più basse di esistenza e questo Marcello indubbiamente era lì per portagli un esempio...che ne fosse consapevole o meno.
La conversazione continuò sempre all'insegna dell'orgoglio personale del veterano dell'animazione: un rimuginare di ricordi di cui solo lui capiva il senso. Era seriamente convinto di essere un rispettato professionista. La realtà era stata un po' messa in ombra: aveva impiegato quasi dieci anni per elevarsi a questo rango, quando in media bastano due o tre anni.
"Io faccio questo lavoro perché me lo sento dentro, è la mia professione. Per te è un gioco ma per me è un lavoro e chiedo rispetto! Sai quanti turisti sono tornati a casa col sorriso grazie a me? Sai quante fighe mi sono scopato? Sai quanti tuoi colleghi mi ringrazione per tutto quello che gli ho insegnato ?"
Ma forse il problema non era tanto quello di quantificare i sorrisi o i preservativi consumati, quanto il fatto che tutto questo fosse il risultato di una rapporto effimero, da consumarsi nell'anomalo spazio di una vacanza dove la gente per una o due settimane mette la testa a mollo. Sembrava convinto di avere in mano una solida realtà di rapporti umani e non un collage di esperienze transeunte. Forse era così ingenuo o così disperato da crederci veramente, oppure era il cervello che per permettere una qualche forma di sopravvivenza lo aveva illuso di vivere in una dimensione apparentemente piacevole e soddisfacente. Una sorta di velo che però certe notti si squarciava e allora vedevi quel leone dell'animazione con la faccia coperta dalle mani per chissà quale disperazione, oppure bastava un goccio di ouzo in più per fare luce oltre le barriere che aveva messo tra sè e gli altri.
Viveva di emozioni giornaliere ma lo spettro della disperazione bussava ogni sera alla sua porta ricordanogli che aveva quasi trenta anni e di lì a poco sarebbe stato troppo vecchio per pitturarsi la faccia di blu.
Era buffo vedere come uno della sua età prendesse ancora sul serio sketch comici vecchi di mezzo secolo, omologati per tutte le stagioni ed in tutti i villaggi turistici. Si atteggiava a grande attore, sembrava un Gassman che insegnava ai suoi colleghi i segreti della comicità. In realtà erano scemenze trite e ritrite che facevano ridere un pubblico di poche pretese e che magari aveva già visto e rivisto questo penoso cabaret in decine di altri hotel ma fingeva di apprezzare per il gusto di stare in compagnia.
Chiedeva rispetto, senza pensare che il rispetto si ottiene senza chiederlo, altrimenti è una richiesta di compassione. Difficile però ottenere questa da un nietzschiano convinto come Sulfimigi.
Intanto in quel villaggio turistico le giornate trascorrevano tutte uguali e con rotazione settimanale dei frequentatori. Tra venerdì e lunedì tanti partivano e tanti arrivavano per rimpiazzarli. Il copione d'accoglienza era sempre lo stesso: si approcciavano i clienti raccontando un po' chi sei e cosa fai con quel sorriso posticcio che il suo capo animatore sapeva esibire alla perfezione. Lo aveva definito il sorriso del "dammi uno spicciolo": era quello che aveva imparato da una vita passata in strada a vendere bigiotterie in giro per l'Europa.
Quanto poteva durare un simile andazzo ? Fintanto che si trattava di una novità poteva anche essere stimolante: essere a contatto con persone straniere e parlare la loro lingua è un valore aggiunto ed un possibile bagaglio formativo oltre che culturale. Formativo era anche lavorare in team, concentrarsi sugli obiettivi e solidarizzare con i colleghi nei momenti difficili. Ma con un lavoro del genere prima o poi il senso di ottundimento arriva come uno di quei mal di testa che non vanno più via. Allora diventi un disco rotto, un anima in pena che vaga tra aperitivi e palloni, in una parola un disadattato. Anche lo stare in mezzo alla gente ogni minuto del giorno da mane a sera era diventato insopportabile: mai un momento privato, mai potersi godere silenzio e tranquillità indisturbato: condizioni ambientali che impediscono la vita di un qualsiasi filosofo anche il più declassato.
Quel giorno libero alla settimana non gli bastava più, era giunto il momento di chiudere le porte tra lui e quello strano mondo dove tutti sono insopportabilmente felici. Se non si fosse stancato da solo lo avrebbero stancato quelli che immancabilmente gli facevano notare come fosse sprecato un laureato per condurre il gioco aperitivo.
La valigia era pronta e avrebbe lasciato alle spalle quell'isola greca che per ora non capiva bene cosa gli avesse veramente lasciato. Forse si era spogliato di una certa ingenuità giovanile, o di una certa debolezza sentimentale che lì poteva essere sperimentata in tutta la su vacuità.
Non si può dire che fosse diventato un uomo adulto e maturo ma aveva iniziato a vedere il mondo con maggior disillusione. Basti pensare alla sua opinione che aveva verso il mondo germanico: se li immaginava secondo i canoni stereotipati dalla letterature e dai modi di dire. Lì aveva visto i tedeschi come individui fragili, paurosi, sperduti: anche lo spirito teutonico è disposto a scendere a compromessi davanti alla spettro della solitudine e dell'inedia. Tutti cercavano uno svago, uno stordimento dalla routine, o una revanche lavorativa che spesso si manifesta in chi passa da servitore a servito. C'era chi si improvvisava delatore di incoffessabili tradimenti, altri eccellevano nel seminare zizzania come se applicare il divide et impera fosse indispensabile anche in quel frivolo contesto.
Salutò Marcello e gli altri colleghi dall'aeroporto. Tra questi c'era anche una ragazza danese che aveva lavorato con lui per tre mesi: aveva un bellissimo viso tondo, sorridente, incantevolmente incorniciato da capelli lunghi castani e con trecce alla vichinga. Era dolcissima con i bambini e tutti la vedevano come una persona gentile ed equilibrata. Sembrava uscita da una favola dei fratelli Grimm. Ma ecco che quando toglieva le vesti da responsabile del Kindergarten usciva la sua vera identità. Spendeva più di quello che guadagnva in alcool e fumo, e non si contavano le volte che fu riportata a casa a spalla tra vomiti e svenimenti. In Danimarca viveva da sola, genitori separati, padre alcolizzato madre chissà dove. Pare anche avesse tentato più volte il suicidio. Insomma era la conferma vivente della locuzione latina "esse quam videri": conta più essere che apparire.
Marcello sentiva di dovergli comunicare qualcosa di indispensabile prima che partisse l'aereo: "Nella speciale classifica del trombo resto molto più avanti di te, e se anche tu fossi rimasto non mi avresti ripreso neanche dopo anni..."
"Sì Marcello, alla fine un vincitore c'è sempre."
Non si sarebbero mai più rivisti, e non avrebbe avuto senso farlo nella vita reale.
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