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Le avventure di Sulfimigi: umanista precario

Introduzione

Benvenuti su questo blog dove racconterò le mie storie ispirate al mondo del precariato. 

Cosa mi spinge a scrivere queste pagine e a tenere aggiornati i lettori con nuovi racconti?

Arriva un momento della vita in cui devi fare i conti con il passato: cos'è stata la tua avventura nel mondo sociale dopo essere uscito dall'univesità con una pergamena rimasta attaccata al muro? 

Inutile guardarla e pensare che è solo un foglio di carta, anzi è proprio con questo pensiero che tornano a galla le aspirazioni frustrate, i sogni infranti di chi ha passato la sua età più bella chinato sui libri, un amore per la cultura e le cose belle che si direbbe mal ricambiato da un mondo pervaso di meschinità.

La scelta di creare piccoli racconti e di adottare un taglio che va dal sardonico all'ironico, dal grottesco al tragico non è una scelta letteraria ma è parte stessa della verità che questi racconti vogliono ritrarre. Mi spiego meglio: la vita del precario è fatta di tanti piccoli episodi in contesti diversi, è il senso stesso della precarietà. Quella del precario non è una vita romanzata ma un collage di tanti piccoli racconti dettati dalle scadenze contrattuali inevitabilmente di corto periodo. La chiave di lettura, crudamente e malinconicamente ironica, non è solo una scelta d'autore, ma una sorta di implicita essenza della realtà con cui il soggetto si confronta. Questo perchè il precario è, per la società che lo confina come tale, un soggetto disagiato, disprezzato ed emarginato. Quando lavora è un fallito perchè accetta impieghi al di sotto del suo profilo, quando non lavora è uno scansafatiche, un parassita accampato sotto il tetto genitoriale.

Ogni racconto è una storia a sè, raccontata con stili diversi che vanno dall'onirico al realistico, dal comico al tragico: questo perchè la vita del precario ha il vantaggio di offrire una quantità indefinibile di suggestioni e prospettive. Anche i ruoli non conoscono un protagonista fisso e predefinito: a volte Sulfimigi è protagonista in prima persona, altre volte è un distaccato spettatore che stende impietosi resoconti di ciò cui ha assistito.

Per chi l'etichetta del precario l'ha indossata sarà difficile non immedesimarsi. Chi ha avuto la fortuna di non esserlo avrà sicuramente un amico o un parente sul quale proiettare il contenuto di queste storie. Lo scopo di questi racconti è anche quello di comunicare un disagio che non è solo individuale, o uno status accidentale nel quale si entra e da cui prima o poi si esce. No, il precariato è il male connaturato di una società che non guarda in faccia le persone ma considera gli individui come ingranaggi di un meccanismo che in qualche modo deve produrre e funzionare. E' l'attuazione del principio hobbesiano dell' uomo che è lupo tra lupi, mentre il Leviatano è il lavoro inteso come forma di  assoggettamento ad un soggetto collettivo.

Il precariato non esisterebbe se la società non fosse costruita sugli egoismi, ma questa è un'altra storia e non la possiamo raccontare perchè appartiene alle utopie. 

Una nave che parte alla deriva 

La notte prima della discussione degli esami i pensieri si affollano nella mente di Sulfimigi. Non sono proiettati sull'argomento contenuto in quel volume. Ormai ha trascorso mesi interi chinato sullo schermo di un computer ad inanellare teorie e spiegazioni sul tema che lo divorava da anni: il darwinismo sociale. Era rimasto talmente incantato da quella visione del mondo da farne una sua personale chiave di lettura di tutto quello che gli succedeva intorno.     

Stava per arrivare quel momento in cui dalle polverose aule universitarie si sarebbe nella vita reale. Con i suoi studi era convinto di aver fatto luce sui fatti più brutali ed inquietanti del secolo appena concluso. Insomma era convinto di avere già in tasca tutto quello che serviva perchè televisioni, giornali e libri si riempissero con i suoi illuminanti contenuti.

L'aria di primavera era oltremodo stimolante quella sera e addormentarsi era una chimica difficile da attuare per un organismo sovraeccitato ma alla fine le porte del mondo dell'onirico si aprirono ugualmente.

Isola dei Morti di Boecklin


Si trovava su una barca, piccola, di legno, ancorata con una modesta scorda sdrucciolata. Proprio lui che non amava gli ambienti acquatici e che a malapena aveva imparato a stare a galla. Il mare era calmo, azzuro, infinitamente esteso. Sul lato opposto erano schierati dodici uomini incappucciati con un saio blu elettrico e degli inquietanti anelli alle dita. Quello più centrale di loro si avvicinò con le mani congiunte e un'andatura solenne. Il volto seminascosto dal cappuccio si rivelò essere senza dubbio quello del suo relatore di tesi. Gli altri undici avevano volti anonimi forse già visti, forse no. 

"Buongiorno Sulfimigi! Si sta apprestando a diventare Dottore! Che effetto le fanno le onde del mare su quella barchetta? La solitudine davanti all'immensità del mare non la spaventa ?" 

Parlava con quella composta saggezza un po' inveterata di chi sa già cosa si trova in fondo alla linea dell'orizzonte. I capelli canuti, lo sguardo disincantanto ed un sorriso dalla sfumatura beffarda componevano quel ritratto incorniciato dalle vestigia simil massoniche.

Sulfimigi deglutì con quell'imbarazzo di chi si trova davanti ad una entità superiore per conoscenza. Tirò fuori dalle corde vocali qualche frase circostanziata, giusto per non lasciare spazi vuoti tra sè ed il suo interlocutore. 

"Ma lei di preciso cosa intende fare dopo che avremo amabilmente discusso la sua tesi ? E' convinto che quel pezzo di cellulosa tutto bello colorato le darà accesso a tutti i porti a cui si affaccerà ?" 

A questo interrogativo più circostanziato Sulfimigi rimase interdetto, il senso di smarrimento si faceva più concreto man mano che l'incappucciato lo incalzava. 

 "Lo sa quanti ne ho visti passare di qua come lei ? A quanti di loro ho tagliato questa corda che li teneva ancorati al baluardo universitario e si sono perduti tra onde alte e mare piatto ?"

"Grazie clarissimo relatore, apprezzo i suoi incoraggiamenti ma credo che in qualche modo di bonaccia o di bolina me la saprò cavare"

L'incappucciato sorrise apprezzando l'ironia, ma restava su di lui quell'espressione da entità superiore ormai divenuta altezzosa.

"Ma lei Sulfimigi non era quello che amava la montagna ? Come mai si sta adattando ad un linguaggio marinaresco ? Ha forse capito che la via che sta per imboccare non è quella delle sue passioni ?"

Una domanda troppo complessa per un sogno, ma ci sarebbe stato tempo per ponderare la risposta.

Dopo un attimo di inespressivo silenzio Sulfimigi guardò il suo interlocutore come si guarda uno specchio e gli disse:

"Ho dedicato gli anni migliori della mia vita ispirandomi a quelli come lei: persono che vivono del loro sapere, e che lo diffondono all'umanità. Ora che mi trovo qui, davanti a quello che ritenevo un traguardo, mi sento dire che è stata tutta una pia illusione? Perché non posso diventare come voi? Perché tra me e voi si staglierà un abisso? Io verso una navigazione malsicura e voi qui al riparo tra le grotte delle montagne? "

"Caro Sulfimigi, le ripeto: ne sono già passati tanti come lei. Vi nutrite di ideali, aprite le vostre menti sul sapere dell'uomo e non vi accorgete di aver costruito castelli per aria. Diventare come noi ? Ma che cosa le viene in mente? Noi non siamo qui per meriti culturali, noi siamo membri di una casta, siamo stati eletti per la conservazione del sapere, siamo dei custodi scelti da chi ci ha preceduto." 

Un misto di imbarazzo e smarrimento forgiarono la nuova espressione dell'imberbe laureando.

"Ma scusi...proprio lei parla così? Ma lei e quelli della sua generazione non avevate messo a ferro e fuoco le città perché tutto cambiasse, perché nessuno rimanesse indietro ? Avete fatto un '68 e un '78 solo per dire che ora siete i conservatori del sistema?"

"Mio caro Sulfimigi, che colore avevamo quando contestavamo? Il rosso! Lei lo sa bene, ha studiato le rivoluzioni del '900. Guardi invece ora come mi dona bene questo blu! E' il colore della reazione! Non solo: il rosso che portavamo in piazza e nelle facoltà era fatto di materiale povero, questo invece è un tessuto di pregio, fatto a mano."

"Anche quell'anello immagino sia uno status symbol..."

"Certo Sulfimigi, serve a distinguerci da chi è senza appartenenza... come lei!"

"Quindi tutti quei bei discorsi sull'uguaglianza, sulle opportunità, sui diritti, sull'eliminazione dei privilegi...?"

"Suvvia, inizi ad essere realista! Anche noi come tutti siamo stati giovani ed ingenui. Credevamo in questi ideali sì... ma secondo lei stiamo meglio qua o a fare la fame con degli ideali ?"

Sulfimigi lo scrutava con l'aria di chi si sente tradito. Tuttavia coglieva nel tono del suo interlocutore un malcelato intento consolatorio.

"Non si disperi Sulfimigi! Ognuno ha il suo destino, il suo è affrontare il mare aperto, un po' come Ulisse, no?"

"Odio il mare, perchè sono qui? Non l'ho scelto io!!!" 

"Non siamo noi a scegliere, è il destino! A noi eletti è andata bene: abbiamo il nostro approdo sicuro, ripetiamo le stesse banalità ad ogni corso, ogni nostra lezione è uguale all'altra, noi non siamo una rivoluzione ma una rotazione!" 

"Beati voi..."

"No, non ci deve invidiare Sulfimigi: lei è poco tagliato per una vita monotona come la nostra, si annoierebbe a stare qui. Lei è fatto per confrontarsi con il grande mostro dei mari: il Leviatano, quello di Hobbes che le piace tanto."

"Guardi che questi discorsi sono pericolosi: se Hitler avesse avuto la possibilità di diventare architetto..."

"Ah ah ah è vero, ma non è colpa nostra. Chi decide è..."

"Il destino"

"Ora che ha pressapoco fissato le coordinate del suo viaggio mi accingo a fare quello che devo fare"

Impugnò un coltello seghettato e recise la corda che fissava la barca al molo. 

"E mi raccomando Sulfimigi: sia sempre fedele, onesto e rispettoso!"

"Ma verso chi ???"

"In generale...pensando al destino"

Una levata di dodici mani si alzo verso il cielo salutando il naufrago: dodici anelli che luccicavano mentre il suono delle onde che si infrangono sul bagnansciuga si allontanava.

Era stato solo un brutto sogno, l'appuntamento con l'aula dove sarebbe stato cerimoniato il suo ingresso nella comunità degli intellettuali era arrivato. La tesi di laurea era stato il momento più bello in tutti quegli anni passati tra le mura universitarie. Nel redigere la tesi si era finalmente sentito compiuto: non i soliti esami imposti e nei quali si ripetevano in fondo in fondo sempre le stesse cose ma finalmente un prodotto d'autore!

Per farsi un'idea di che cosa quella stanza potesse riservagli aveva assistito a tesi di suoi amici e la scena era stata raccapricciante: una dozzina di docenti radunati a ferro di cavallo che scrutano l'esaminando per cinque folgoranti secondi. Ma è solo una formalità: non vedono l'ora che tutto finisca, qualcuno non ne può più e si accende un sigaro davanti alla finestra, altri leggono il giornale, i più interessati sono quelli che non trovano argomento per fare filotto col collega e si fingono interessati alla tesi. 

Ma Sulfimigi era arrivato lì dentro con un carico da novanta: il legame tra razzismo e teorie darwiniane nella Germania nazista. Provate a distrarvi anche solo per un attimo! Quel ferro di cavallo che solitamente proiettava uno sguardo indifferente verso ogni candidato si trasformo in una specie di parabolo dove il fuoco era lui. Tutti avevano ascoltato con istantaneo interesse le argomentazioni dell'unico laureando che invece di presentarsi con giacca e cravatta era arrivato con un maglione, pantaloni quasi di tela e scarpe da ginnastica. Era chiaro che si trattava di un outsider interessante ma troppo scomodo, un genio e sregolatezza che mal si intonava con quelle ottuse mura istituzionali. 

Il relatore arrivò con un sorriso che era identico a quello beffardo e un po' sardonico del sogno. Si strinsero la mano che era sì umanamente calda tranne che in un punto dove si percepia un freddo metallico: era l'anello! 

     

La chiamata di leva

Per i nati negli anni '70 l'obbligo di leva era uno di quei doveri da ritardare il più possibile: l'ipotesi di una sua abolizione sembrava, dopo tante illusorie promesse, diventare concretezza. 



L'Università allungava i tempi della chiamata dando un temporaneo sollievo dall'obbligo della mimetica. Ma poi il tutto si trasformava in un disagio notevole dato dal fatto di figurare come un fuori età tra  sbarbatelli. Vivere questa condizione da disadattati era un supplizio che spesso prendeva la forma di trecentosessantacinque croci disegnate su un muro: una per ogni interminabile giorno.

La prima forma di disagio di un neolaureato in molti casi era questa. Un certificato di "Dottore" appeso alla parete della camera e all'orizzonte un mondo da conquistare: nella realtà un pulitore di latrine con un caporale zoticone, semianalfabeta e con l'acne da diciottenne che detta il ritmo a cui devi marciare.

Sulfimigi tentò la sua ultima carta: aveva ottenuto una borsa di studio post laurea all'estero, poca roba s'intende, un riconoscimento del suo relatore per la buona tesi. Dette fondo a tutte le sue capacità letterarie per mandare una lettera al Ministero della Difesa nella quale supplicava di lasciargli liberi i suoi anni migliori per continuare la vita sui libri.

Imbucò la lettere e aspettò, fino a quando un giorno si assopì e l'angoscia invase i suoi sogni.

---

"SVEGLIA SVEGLIA" Le urla belluine giungono dal lato opposto di quella porta in compensato leggero che sembrava crepare sotto i colpi delle nocche del tenente. Giusto il tempo di lanciare un'occhiata alla sveglia che impietosamente non riesce a riportare sul quadrante cifra maggiore delle cinque antelucane. La chiamata per servire la patria in divisa si è materializzata in questo modo improvviso. Un armadietto, o meglio un parallelepipedo di allumino, è tutto quello che addobba quella fredda e umida stanza. Il suo istinto di sopravvivenza non può che pilotarlo lì ed indossare il contenuto: ovvero una sconcia uniforme e degli stivaletti. Il fatto che nessuno di questi sia nemmeno lontanamente delle sua taglia e che lo faccia apparire come un sigaro in cartuccia è un fatto del tutto irrilevante per lui e soprattutto per chi lo sta aspettando là fuori. Ma appunto...chi lo sta aspettando? Neanche il tempo di buttar giù la più frugale colazione della sua vita ed un impulso lo spinge a correre fuori, verso una destinazione non ancora del tutto chiara. In effetti qualcosa sembra squarciare il profondo e silenzioso buio che circonda questo momento della giornata. Sono due cerchi rotondi e luminosi che avanzano accompagnati dallo sferragliare di un vecchio motore diesel. Non c'è dubbio: è venuta per lui visto che non potrebbe essere per nessun altro e a sottolineare il concetto avanza ondeggiando e sciabolando i lampeggianti come in un codice morse. Il roboante veicolo rallenta l'impeto della corsa, lasciando intendere che lo farà abbordare. Sulfimigi si appresta a salire senza fiatare e senza perdere un frammento di secondo, ma non sa che il guidatore è stato addestrato per accellerare proprio quando il suo corpo è ancora sbilanciato. Ed ecco che senza capire come e perché si ritrova ad inseguire a piedi quel diabolico autocarro. Ogni suo tentativo di afferrare un appiglio viene vanificato da puntuali colpi di accelleratore. Qualcuno da dentro allunga la mano ma poi beffardamente la ritira. Dopo tre tentativi andati a vuoto riesce finalmente ad afferrare lo sportello e a salire mentre la belva meccanica riprende la sua rabbiosa cavalcata nelle tenebre. 

Davanti a lui una specie di corridoio, ai lati due file di militari seduti e inespressivi come statue. Capisce che il suo posto è quello in fondo ma non sa che per arrivarci dovrà affrontare una selva di calci di fucile che puntano tutti sulle sue caviglie. Caracollando arriva al suo posto e attende la fine del viaggio che si conclude all'alba, nel cortile di una gelida caserma. 

Lui ed un numero di altre reclute vengono fatti allineare in un cortile. Vengono interrogati uno ad uno con domande su provenienza, età e soprattutto competenze. "Beh io, ho fatto studi umanistici" risponde Sulfimigi in merito a quest'ultima. In quell'istante tutto il via vai di voci, movimenti e armeggi che animavano la caserma si fermò. Gli esaminatori, erano tre, lo guardarono con occhi stupiti, come se avessero davanti non un semplice essere umano ma uno spirito superiore. 

I tre si guardarono negli occhi e alla fine parlò il più anziano, quello più titolato a parlare in caso di incontri straordinari come questo. 

"Bene Sulfimigi, prima di te sono venuti elettricisti, idraulici e un esperto di informatica. Tutte competenze utili s'intende, ma mancava finora quella figura che potesse in qualche modo incarnare l'essenza stessa del servizio che siete stati chiamati a svolgere dalla nostra amata patria. Ognuno di voi individualmente è nulla, qui siente un'entità collettiva, un macroantropo, la somma di tanti individui che si fondono come in una nuova unità." 

Sulfimigi non si capacitava del fatto che improvvisamente si fosse materializzata davanti a lui la figura di un uomo così illuminato, le cui parole sembravano uscite da un saggio di Schopenhauer o Gustave Le Bon. Aveva finalmente trovato qualcuno che parlava la sua stessa lingua, proprio lì dove meno se lo sarebbe aspettato.

"Lei capisce Sulfimigi che qui è nel posto giusto, e che abbiamo proprio bisogno di qualcuno come lei...

Lei è uno che pensa, qui invece gli altri vengono pensati...mi capisce vero?" 

Sulfimigi annuiva tra mille vibrazioni che lo avevano improvvisamente pervaso. 

"Ecco...lei conosce Diogene vero? Quel filosofo che girava con la lanterna alla ricerca dell' "uomo vero"... Ecco vede quel secchio ? Faccia finta che sia una lanterna! Vede quella porta ? Non si formalizzi se c'è scritto latrina...perché quello in realtà è un luogo dove lei può indagare la natura umana nelle sue profondità più remote!!! Vada, e cominci da destra verso sinistra perchè qui si è sempre fatto così!"

Fu così che Sulfimigi ogni giorno portava a termine la sua missione filosofica tra il rispetto dei suoi commilitoni che non mancavano di lasciargli interessanti oggetti su cui meditare. 

Tutto questo ogni mattina quando suonava l'alzabandiera. Ci fu un giorno in cui la tromba suonò più forte e si sveglio da questo incubo. In realtà non erano note musicali ma il monotono doppio ring del campanello con cui è solito annunciarsi il portalettere quando richiede la firma. Mentre compilava il modulo l'occhio gli cadde sul mittente: veniva da Roma. Con i sudori freddi del sogno che si univano a quelli della realtà aprì la busta e lesse il contenuto:

"Signor Sulfimigi, con riferimento alla sua richiesta etc. etc. siamo ad informarla che in ragione del rimodernamento delle forze armate e loro efficientamento con personale dedicato...insomma in poche parole i bagni li pulirà una cooperativa di pulizie e lei può continuare i suoi studi liberamente!

Cordiali saluti"

Erano proprio le parole che aveva sognato di sentirsi dire !



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