Monte Chegul (TN): doppia discesa a due passi da Trento
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Stretto tra la Marzola ed il Passo del Cimirlo, spunta questo massiccio roccioso dai profili aspri e spioventi, apparentemente avvolto da atmosfere infernali. Ma visto da dentro il Monte Chegul è un paradiso di tranquillità ammantato da rigogliosi boschi.
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Tornanti del 411 |
E' un itinerario molto divertente, sicuramente sorprendente per chi pensa che per trovare posti favolosi bisogna andare lontano. Siamo infatti a ridosso delle colline dove sorge il blasonato polo ingegneristico di Trento, ed è proprio da qui, località Povo, che parte la nostra avventura fuori porta.
La salita si può dividere in tre distinte fasi. La prima ha tutti i tratti di una crono-scalata: porta al Passo del Cimirlo arrancando tra impervi tornanti in una fredda valle che i pedalatori trentini usano per gli allenamenti. Rapidamente ma con il battito a mille si arriva a questa prima meta sfiorando il tetto degli 800m di quota. E' un crocevia di strade da cui si scende e si sale: nel nostro caso vale la seconda opzione. Ma prima, per chi vuole, si può fare un breve excursus storico tra quel poco che rimane di Forte Cimirlo: un tempo parte integrante della formidabile Fortezza Trento, fiore all'occhiello delle strutture difensive asburgiche e rimasto intatto durante la Grande Guerra. Ma dopo le ostilità poco e niente è stato lasciato di questo glorioso passato.
Entriamo così nella seconda fase dell'ascesa: si costeggia il fianco della montagna rivolto alla Val d'Adige puntando verso sud, destinazione Rifugio Maranza. E' un nastro di asfalto piuttosto tortuoso che si può ravvivare con tagli in mezzo al bosco sicuramente meno monotoni e più suggestivi.
Un caffè anche solo per ammirare la bellissima struttura all'interno con terrazza panoramica sulle dolomiti e poi ultimo colpo di reni per conquistare la cima del Monte Chegul. E' questo il tratto più breve ma anche intenso: l'asfalto ci abbandona del tutto e volendo seguire il senter delle pegore si percorre un tracciato stretto ed esposto straordinariamente panoramico (sarebbe vietato alle bici, per i più ligi alle regole si può salire sulla strada bianca parallela).
Gli "Stoi del Chegul" sono cavità artificiali scavate nella roccia ai tempi della Grande Guerra, il loro uso era principalmente quello di custodire al riparo le munizioni dell'artiglieria. Oggi sono stati convertiti in casette uso estivo con tanto di portoni d'ingresso e finestre: quando tra spioventi pareti rocciose appaiono queste sorprendenti presenze significa che finalmente il grosso delle fatiche è alle spalle e si può entrare in modalità discesa (411).
Tornanti, tornanti e ancora tornanti...ma in realtà per la monotonia c'è poco posto perchè la guida è elettrizzante, lo scendere sinuoso con il panorama sulla Val d'Adige è un'euforia che mescola adrenalina e ammirazione visiva.
Quando il sentiero approda sulla mulattiera decidiamo di abbinare la discesa appena conclusa con la DH The Huge. Costerà un po' di sudore tra risalite e tre passaggi da fare a piedi su rocce e radici troppo grosse, ma ne varrà abbondantemente la pena. Ci si riporta sulla strada asfaltata seguendo il 427 in direzione Sason (un gigantesco monolite che si incontra lungo il percorso) ed un breve tratto del 418 per raccordarsi all'asfalto. Una breve risalita fino ad un capitello adiacente uno spiazzo per pic nic con punto panoramico: la discesa inizia poco più sotto. L'andatura è piuttosto scorrevole, piacevole nella guida e con picchi tecnici fatti di gradoni e rock garden dove serve qualche marcia in più.
Si sbuca a ridosso di una zona coltivata a vigneti e da qui pochi e veloci tornanti su asfalto riportano al punto di partenza.
Riassumendo: difficoltà tecnica in discesa che oscilla tra S2 ed S3.
Infine un doveroso ringraziamento ai biker locali che si prodigano nel mantenere i percorsi, a dispetto della ben nota ostilità di certe associazioni escursionistiche locali.
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