Il Rampichino: una particolare storia che ha dato origine alla mtb in Italia
Questa curiosa storia parte a metà degli anni '80 quando la concezione di bicicletta sportiva in Italia è una emulazione delle imprese del Giro, ovvero sostanzialmente strade.
Per chi ha vissuto in quegli anni era impresa ardua anche solo immaginare che una bicicletta potesse scorrere su single track nel bosco, rock garden, drop e gradoni.
Bisogna aspettare il 1985 per poter parlare di una "alba dlla Mountain Bike". Arriva infatti una novità destinata a far germinare la bici fuori strada in tutte le declinazioni oggi conosciute.
Oltreoceano la pratica dell'off road si era già consolidata da qualche anno sotto forma di discese a rotta di collo in ambiente montano: biciclette da postino con qualche saldature e rinforzo ma che intanto avevano aperto una nuova frontiera.
Nel belpaese, escludendo la parentesi ludica della Saltafoss, arriva in un modo del tutto particolare e coprotagonista insapettata è una giovane rivista naturalistica, ancora oggi in edicola, che si chiama "Airone".
Mancano un paio di caselle e il puzzle è completo: una è il volatile molto agile dal nome scientifico di Certhia brachydactyla divenuto però celebre col nome comune di Rampichino; l'altra è il marchio bici Cinelli che lancia per primo un modello di velocipede adatto a quello che oggi chiamiamo gravel. In realtà, visti i mezzi, erano ben pochi quelli che si azzardavano a solcare mulattiere, strade bianche e strade militari con la bicicletta di Don Camillo o poco più.
A quanto si dice i giornalisti della rivista naturalistica rimasero incantanti dal senso di libertà e di conquista di nuovi spazi che questo modello di bici permetteva di intraprendere lontano dal traffico, ed en plein air.
Da qui l'idea di lanciare una promozione di 1.000 modelli Cinelli rampichino numerati ed acquistabili con un tagliando inserito in rubrica. Tra le innovazioni più importanti, oltre alla maggior robustezza di telaio e ruote anche una disponibilità di rapporti che permetteva di affrontare anche le pendenze più ostiche (da qui la scelta del nome).
Inutile dire che questi mille esemplari sono oggetto di culto tra collezionisti.
Se dal punto di vista tecnologico questi modelli sono pura archeologia, non possiamo però esimerci dal sentirli parte della nostra storia: la storia di chi cerca nelle due ruote una forma di libertà.
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